Luca Serianni

Il Prof. Serianni e la lingua italiana

Pochi giorni fa è mancato Luca Serianni, uno dei più influenti studiosi della lingua italiana, professore ordinario (poi emerito) di Storia della lingua italiana alla Sapienza di Roma, autore di numerosi libri, tra cui la famosa Grammatica italiana: Italiano comune e lingua letteraria, UTET Università, Torino 1991.

In questi giorni ho letto numerosi articoli, manifestazioni di affetto, testimonianze di studenti e citazioni che lo riguardano e vorrei riepilogare qui alcune delle osservazioni che mi hanno colpito maggiormente.

Una parlata raffinata

Come ha sottolineato Raffaele Simone nel suo articolo per il quotidiano Domani: “Le sue lezioni erano famose non solo per la straordinaria cura con cui erano preparate e presentate, ma anche perché riusciva a fondere, con la sua bella parlata da romano colto (un timbro purtroppo in via di sparizione), il massimo della serietà dottrinale con il massimo della vivacità e dello humour“.

Ad aprile ho avuto la fortuna di ascoltare Serianni a Torino in occasione dei Dialoghi Primo Levi, organizzarti dal Centro internazionale di studi Primo Levi. Il titolo della conferenza era “Primo Levi e la lingua intorno a lui”, un tema molto specialistico, affrontato con precisione, rigore e una grande ricchezza di citazioni. Tra le altre cose, mi ha colpito molto anche il suo raffinato accento romano, che purtroppo sta cedendo il passo a una sempre maggiore milanesizzazione dell’italiano.

La lingua italiana come impegno civile

Un’altra citazione che ho trovato molto significativa è tratta dal saggio Il sentimento della lingua. Conversazione con Giuseppe Antonelli, Il Mulino, Bologna 2019:

Come storico della lingua italiana, avverto anche l’esigenza di un certo impegno civile: diffondere la padronanza della lingua e della sua storia è un modo per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità.
La lingua che parliamo dice molto di noi e del modo in cui stiamo nel mondo. È uno strumento di formazione non solo individuale e collettiva, ma anche, in senso ampio, civile.

La lingua che parliamo non è uno strumento neutro, e lo dimostrano molto bene le appassionate discussioni sull’inclusività e lo schwa che imperversano negli ultimi tempi soprattutto sui social. Siamo sensibili o persino ipersensibili nei confronti della nostra lingua nazionale; è un legame affettivo a legarci a lei.

La nostra lingua ci identifica come comunità, rafforza il nostro senso di appartenenza, assume una dimensione civile, e per Serianni diffondere la cura della lingua era una vera missione. Lo testimoniano molto bene i suoi ex studenti.

Sé stesso

Nel ricordarlo, proprio i suoi ex studenti raccontano che da lui hanno imparato a scrivere “sé stesso” con l’accento.

A scuola molti di noi avranno imparato che “sé” vuole l’accento quando non è seguito da “stesso” per distinguersi dal “se” congiunzione.

In realtà, Serianni suggerisce di usare “sé” con l’accento anche in presenza di “stesso”. Riporto qui la spiegazione che Serianni ha fatto a Luisa Carrada (l’intero articolo è qui):

La norma ortografica per la quale il pronome sé dovrebbe perdere l’accento se seguito da stesso è un’inutile complicazione. La forma sé va accettata, come avviene per altri monosillabi, perché può confondersi in certi contesti con la congiunzione se. Non vale osservare che la presenza di stesso elimina quest’ambiguità: con la stessa logica dovremmo togliere l’accento a si quando costituisce un’unica frase, perché il contesto ci impedisce di pensare al pronome riflessivo si. L’uso degli accenti deve rispondere a criteri di massima funzionalità e può sempre essere perfezionato. Ora, se è vero che l’uso attuale è fortemente sbilanciato a favore di se stesso, d’altra parte, la forma con accento è contemplata, accanto all’altra, da tutti i grandi dizionari dell’italiano contemporaneo; e uno di essi, il prestigioso Vocabolario della lingua italiana Zingarelli, dall’ediz. 1996, registra molto opportunamente la forma sé stesso come “preferibile” rispetto all’altra (in una rubrica intitolata Errori comuni). C’è da sperare che una norma del genere sia accolta nelle redazioni delle case editrici e dei giornali.

Come cambia la lingua italiana

Inserisco in questa breve rassegna la registrazione di un intervento di Luca Serianni al Festival Della Mente 2009, intitolato Come cambia la lingua italiana.

Il tema del cambiamento è un tema molto caldo. Alcune persone sono fortemente critiche e conservatrici (i cosiddetti puristi), altre si lasciano trascinare dalle mode linguistiche con più leggerezza, ma, soprattutto in alcuni ambienti come per esempio il mondo della traduzione, l’attenzione verso il lessico, i neologismi, le strutture sintattiche agrammaticali ma contagiose come “settimana prossima” senza l’articolo “la” è sempre molto alta. Come dicevamo prima, siamo molto sensibili o addirittura ipersensibili al cambiamento.

Serianni inizia il suo intervento citando come esempio la parola “attimino”, che andava di moda fino a poco tempo fa e che da molti era indicata come una parola emblematica dell’italiano che cambia, se non del degrado della nostra lingua. Chi non l’ha mai usata e poi magari anche criticata aspramente?

L’intervento continua poi con un’approfondita spiegazione dei neologismi: come si formano, come si diffondono, perché si affermano oppure no, ecc.

L’italiano retto e giusto

Concludo con una foto postata su Facebook da Martina Bartolomucci che ritrae Luca Serianni in cattedra per l’ultima lezione in aula prima di andare in pensione.

Serianni in cattedra l'ultimo giorni prima di andare in pensione con l'omaggio dei suoi studenti

Sulla lavagna alle sue spalle si legge l’omaggio degli studenti, che parafrasa il sesto canto del Paradiso: 

E se il mondo sapesse il valor che ebbe
Insegnando italiano retto e giusto
Assai lo loda e più lo loderebbe

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