Povertà lessicale

Povertà lessicale e comunicazione efficace

Qualche anno fa la Treccani aveva lanciato uno spot pubblicitario che giocava sull’uso eccessivo dell’aggettivo “carino”. Oggi la situazione non è molto diversa e basta dare uno sguardo ai video che popolano YouTube e Instagram per scoprire che tutto ciò che viene descritto è “bello” o “carino”.

La lingua italiana è molto più di due aggettivi. Si stima infatti che il patrimonio lessicale italiano sia compreso tra le 215.000 e le 270.000 unità lessicali, ma come fare per incrementare il proprio vocabolario?

Da una parte possono sicuramente risultare utili strumenti come il vocabolario, il dizionario dei sinonimi e contrari o il dizionario delle collocazioni di cui ho parlato in un precedente articolo del blog intitolato Parole, parole, parole…

Dall’altra credo che il discorso sia più complesso della semplice ricerca, conoscenza e utilizzo di sinonimi.

Se è vero che, come dice il Prof. Umberto Galimberti, “il pensiero è fatto di parole, quindi più termini conosciamo e più ricco sarà il nostro pensiero”, la povertà lessicale nasconde, se non un vero e proprio analfabetismo emotivo, quanto meno superficialità e mancanza di attenzione e riflessione. Quando definiamo una cosa come bella o carina, la stiamo banalizzando, non stiamo comunicando con efficacia né stimolando nell’ascoltatore la reazione emotiva necessaria per creare una relazione con lui.

Pertanto se vogliamo comunicare un messaggio che lasci il segno, è necessario approfondire, definire quali sono le caratteristiche che ci piacciono di quell’oggetto, persona o panorama. Invece di fermarci a un generico “bello”, descriviamo le emozioni che ci suscita, come è fatta quella cosa e che cosa la distingue dalle altre, ecc. ecc.

Per trovare le parole giuste, leggiamo quotidiani e riviste sugli argomenti che ci interessano di più e di cui parliamo o scriviamo, oppure immergiamoci nella letteratura. In questo caso leggere diventa, oltre che un piacere, un esercizio di ampliamento lessicale, ma anche di grammatica, sintassi e stile. Tra l’altro, per noi parlanti dell’italiano è importantissimo leggere gli autori della nostra lingua perché l’italiano delle traduzioni differisce parzialmente dalle produzioni spontanee, da una parte perché i traduttori tendono ad essere più conservatori rispetto all’evolvere della lingua e dall’altra perché possono verificarsi interferenze con la lingua di partenza.

Per chi volesse approfondire l’argomento dell’influenza delle traduzioni sulla lingua italiana, suggerisco due volumi dallo stesso titolo:

L'italiano delle traduzioni di Stefano Ondelli
L’italiano delle traduzioni
di Stefano Ondelli
Carocci Editore
L'italiano delle traduzioni a cura di Anna Cardinaletti e Giuliana Garzone
L’italiano delle traduzioni
a cura di A. Cardinaletti
e G. Garzone

L’italiano delle traduzioni di Stefano Ondelli pone interrogativi interessanti: dal momento che la maggioranza dei testi che leggiamo e dei film che guardiamo è frutto di traduzioni, a che tipo di italiano siamo esposti? Che effetto avrà il “traduttese” sull’evoluzione della nostra lingua?

Il volume curato da Anna Cardinaletti e Giuliana Garzone è invece una raccolta di studi che si inserisce nel programma di ricerca: “Osservatorio dell’italiano contemporaneo. Analisi linguistica e implicazioni didattiche e traduttive” e analizza in particolare gli aspetti sintattici e semantico-pragmatici dell’italiano usato nelle traduzioni da altre lingue.

Condividi:

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *